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Sabato, 20 Aprile 2024
Don Bosco Cinecittà / Piazza dei Decemviri

Lutto al Don Bosco: è morto Antonio Calabrò, il "medico dei poveri"

Cardiologo al Fatebenefratelli, aveva aperto un piccolo ambulatorio dentro un cointainer in piazza dei Decemviri. Da anni curava gratis in strada clochard, indigenti, immigrati

A Cinecittà lo conoscevano tutti come "il medico dei poveri". Non si accontentava di assistere i suoi pazienti al Fatebenefratelli, da cardiologo, lavorava anche in strada per aiutare chi in ospedale sarebbe entrato con difficoltà. Si è spento domenica scorsa Antonio Calabrò, il cardiologo famoso per le strade intorno alla grande chiesa di Don Bosco, dove domani alle 10 si svolgeranno i funerali. 

Curava gli ultimi, i più deboli, quelli che non avevano i soldi neanche per pagare il ticket. Aveva aperto un piccolo ambulatorio dentro un cointainer in piazza dei Decemviri, tra viale Palmiro Togliatti e via Tuscolana. Era molto amato nel quartiere, una vera istituzione. 

Lo ricorda su Facebook anche il vice presidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio. "Se n'è andato silenziosamente, Antonio, all'improvviso. Senza fanfare, senza retorica, senza cerimonie. Però l'assenza di un faro di carità, di umanità, di misericordia, di giustizia si avverte subito. E' come se nel mondo appassisse un fiore, si spegnesse una lampadina, inaridisse un fiume, si spegnesse un sorriso".

"Mi pare fosse il 2008, quando bussò alla mia porta in municipio e mi chiese se poteva installare un container proprio alle spalle della chiesa di don Bosco, a Cinecittà - ricorda anche Sandro Medici, allora presidente del X municipio - Non so dove si fosse procurato quel container, mi spiegò che gli serviva per allestire un ambulatorio medico di strada: a noi chiedeva le autorizzazioni, l'allaccio in fogna e le utenze. Gliele concedemmo e si mise subito al lavoro". 

In poche settimane, la voce si sparse e fuori dall'ambulatorio "si creava la fila, nei due pomeriggi a settimana che Antonio dedicava a questa impresa": Un'impresa difficile, complicata, anche dal punto di vista emotivo, perchè "questa gente andava da lui e poi spariva", racconta medici. "Ricordo quando mi raccontò di una ragazza africana: quando si era presentata nel suo container, era sul punto di partorire. E poi era sparita. Allora Antonio si mise a cercarla e la trovò, finalmente, in una baracca sull'Aniene. La portò al Fatebenefratelli, dove lavorava come chirurgo, e le permise di partorire al sicuro". Di storie così, chissà quante ce ne sono. E quante ancora ce ne sarebbero, se l'ambulatorio non fosse ormai chiuso da un paio d'anni. 

"Il container è sempre lì, ma l'attuale amministrazione non ha rinnovato le pratiche burocratiche necessarie per avere le varie utenze. E Antonio se ne rammaricava molto". Certo, ora non ci sarebbe comunque nessuno a portarlo avanti. "Aveva un gruppo di collaboratori che lo aiutavano, con alcuni di loro aveva dato vita all'associazione Condividi. Ma non erano medici e nessuno di loro potrebbe sostituirlo". I suoi colleghi, poi, "lo aiutavano perchè lui li tormentava: se c'era un caso da approfondire portava lì in ospedale i suoi pazienti 'di strada', o riusciva a trascinare nel container qualche suo collega. Ma nessuno si farebbe mai carico della sua impresa". 

Eppure, in tanti ancora avrebbero bisogno di questo servizio: "Negli ultimi anni, non si presentavano solo stranieri, ma sempre più italiani. Poi faceva ambulatorio anche nel centro di accoglienza per persone sfrattate, inaugurato durante la giunta Veltroni e ancora operativo, alle spalle dell'ippodromo Capannelle. Avevamo adibito un locale al pianterreno ad ambulatorio e Antonio veniva spesso anche lì. Riusciva a dialogare con tutti: dai ragazzi dei centri sociali ai salesiani della parrocchia: era molto cattolico, ma con la chiesa aveva un rapporto dialogico, a volte conflittuale. Ora, siamo in tanti a piangerlo e a rimpiangerlo: figure come la sua non nascono tutti i giorni".


 

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